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L’Italia è stato il primo Paese in Europa a essere colpito dal virus SARS-CoV-2:1 a luglio 2024, a distanza di oltre 4 anni dall’inizio della pandemia, si contano quasi 27 milioni di casi di COVID-19 e oltre 195.000 decessi.2
Fin da subito, il Paese ha dovuto fare un enorme sforzo per gestire non solo gli effetti sanitari legati al COVID-19, ma anche le conseguenze economiche e sociali della pandemia.
Impatto economico della pandemia
Secondo uno studio svolto dall’Ospedale di Ricerca Humanitas di Milano, che ha analizzato i ricoveri effettuati tra gennaio 2018 e dicembre 2021, la pandemia ha avuto un impatto significativo sui costi sanitari diretti in ambito ospedaliero, che sono aumentati significativamente con l'infezione da SARS-CoV-2 in tutte le categorie di diagnosi: da +621 euro nella polmonite semplice e nella pleurite a +2.917,5 euro nell’edema polmonare e nell’insufficienza respiratoria.1
Inoltre, durante la pandemia il costo di ospedalizzazione per ogni paziente è aumentato da 2.410 euro nel periodo pre-pandemico a 2.645 euro per i pazienti negativi e a 3.834 euro per i pazienti positivi a SARS-CoV-2.1
Le spese di ricovero sostenute per i pazienti negativi a SARS-CoV-2 sono aumentate rispetto al periodo pre-pandemico a causa del crescente uso della diagnostica e dei dispositivi di protezione individuali.1
I dati relativi alla spesa sostenuta per ogni paziente in Italia sono in linea con quanto riportato a livello europeo: secondo uno studio che ha coinvolto Spagna, Grecia e Germania, nel 2020 i costi sanitari diretti per ogni paziente con COVID-19 sono stati, in media, di circa 4.800 euro.3
In particolare, durante la prima ondata della pandemia (gennaio-giugno 2020) in Europa si sono registrate spese notevoli per i ricoveri ospedalieri per COVID-19 di persone con un alto indice di massa corporea (BMI): su un totale di costi diretti stimati in 13,9 miliardi di euro, il 76% è stato speso per il trattamento di persone in sovrappeso e obese. Il costo medio per ricovero ospedaliero, infatti, è stato di circa 16.000 euro per le persone con un BMI <25 kg/m2 e di quasi 31.000 euro per quelle con un BMI ≥40 kg/m2.4
In generale, nell’area europea il burden economico della prima ondata di pandemia è stato sostanziale, con costi sia diretti sia indiretti significativi. I costi diretti sono stati attribuiti principalmente alle spese mediche per i ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, mentre i costi indiretti e sociali, generati dagli interventi non farmaceutici, principalmente dalle strategie di permanenza a casa e di isolamento, hanno contribuito a un ulteriore aumento dei costi economici e hanno determinato una diminuzione del Prodotto Interno Lordo (PIL). Inoltre, anche i ritardi nell'inizio del trattamento di altre malattie (ad esempio, il cancro) hanno avuto un impatto economico sostanziale.5
Per quanto riguarda i costi indiretti, la perdita di produttività (temporanea e permanente) e le vite umane perse a causa del COVID-19 sono state importanti.5 Già nel suo periodo iniziale, infatti, la pandemia in Europa ha causato perdite significative associate alla mortalità precoce causata da COVID-19: in uno studio condotto su 9 Paesi europei*, l’eccesso dei decessi è stato stimato in 18.614, per un totale di 134.190 anni di vita produttiva potenziale persi e costi legati alla mortalità prematura (pagati e non pagati) pari a circa 2,9 miliardi di euro.6
Per quanto riguarda il burden economico di COVID-19 sulle professioni sanitarie, uno studio condotto in un ospedale romano ha mostrato come l'impatto maggiore sia stato rappresentato dalla perdita di produttività dovuta all'assenteismo dal lavoro. Tuttavia, le spese sono state maggiori nel primo anno di pandemia (marzo 2020-febbraio 2021) rispetto al secondo anno (febbraio 2021-marzo 2022), con un costo medio per lavoratore sanitario positivo a SARS-CoV-2 che è diminuito da 5.906 euro a 1.562 euro.7
Nel complesso, l’impatto di COVID-19 sulle professioni sanitarie ha seguito il cambiamento nella severità della malattia, che dal primo al secondo anno di pandemia ha visto uno spostamento da casi gravi e critici a un numero maggiore di casi asintomatici, lievi e moderati. Infatti, sebbene il costo dei ricoveri ospedalieri sia diminuito di oltre il 60% nel secondo anno, il costo relativo alla perdita di produttività è aumentato dell'11%, suggerendo che un maggior numero di persone si assentava dal lavoro, ma il loro stato di salute non era così grave come nel primo anno, e quindi un minor numero di casi ha richiesto l'ospedalizzazione.7
La vaccinazione è emersa come una delle ragioni principali della diminuzione dei ricoveri e degli accessi agli ospedali che si è verificata tra il primo e il secondo anno di pandemia.7
L’efficacia della campagna vaccinale è stata citata anche come il fattore determinante per la ripresa economica dell’intero Paese a seguito delle perdite causate dalla pandemia. In particolare, la crescita del PIL è stata associata al tempo di attuazione del piano vaccinale nazionale. Un ritardo di quest’ultimo, infatti, avrebbe avuto un duplice impatto negativo sulla crescita del PIL, riducendo la crescita trimestrale rispetto all'anno precedente nel breve periodo e ritardando la tendenza trimestrale al rialzo nei 2 anni successivi.8
Più in generale, lo screening, l'investimento in dispositivi di protezione individuale e le strategie di vaccinazione si sono rivelati costo-efficaci.5
Quando la malattia persiste nel tempo: l’impatto del Long COVID
Attualmente si stima che tra il 10% e il 20% di chi ha avuto un’infezione da SARS-CoV-2 abbia ancora sintomi della malattia a distanza di settimane, mesi o anni dalla fase acuta di COVID-19, ossia soffra del cosiddetto “Long COVID”.9
Uno studio svolto sui database di 3 Regioni italiane, contenenti i dati di oltre 600.000 individui con e senza infezione pregressa da SARS-CoV-2, ha mostrato come l'infezione sia associata a un maggiore ricorso all'assistenza sanitaria nei 6 mesi successivi, soprattutto nei casi di infezione acuta grave.10
In particolare, rispetto a chi non è stato infetto, chi ha avuto COVID-19 ha riportato tassi di visite ambulatoriali e ricoveri ospedalieri 2 volte superiori e tassi di procedure diagnostiche strumentali quasi 3 volte superiori durante i 6 mesi di follow-up dopo l'infezione acuta.10
Quest’associazione è apparsa più forte tra i soggetti con infezione grave, che ha causato il ricovero in ospedale o in terapia intensiva, e si è mantenuta costante in fasi diverse della pandemia.10
In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato delle raccomandazioni nazionali per l'organizzazione dei servizi e la gestione dei pazienti con Long COVID. Queste raccomandazioni sottolineano che una valutazione specifica del Long COVID dovrebbe essere effettuata in tutti i pazienti ricoverati per COVID-19 da 4 a 6 settimane dopo la dimissione e nei pazienti che non sono stati ricoverati ma che presentano segni o sintomi nuovi o persistenti non spiegabili con una diagnosi alternativa per più di 4 settimane dopo l'infezione acuta.9
Le Regioni e le Province autonome hanno definito le proprie direttive per i percorsi e per l'organizzazione dei servizi per il Long COVID; perciò al momento si osserva una grande eterogeneità sul territorio nazionale.9
*Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Svizzera.
PP-UNP-ITA-3948
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I Medici di Medicina Generale, durante la pandemia, sono divenuti il punto di riferimento per i pazienti, soprattutto quelli a rischio.
I pazienti che contraggono la malattia dovuta al Covid-19 possono sviluppare diversi sintomi, caratteristici dell’apparato colpito.
La presenza di comorbidità è spesso associata ad un rischio più alto di incorrere in esiti gravi da Covid-19. Inoltre, anche i pazienti che hanno avuto un’infezione lieve possono sviluppare i sintomi del Long-Covid, soprattutto in assenza di vaccinazione.
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